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Arnold I. Davidson (a cura di), La vacanza morale del fascismo. Intorno a Primo Levi, con una lettera di Ferruccio Maruffi a Primo Levi

ETS, Pisa 2009.
Recensione di Luca Mori.

copertinaLe categorie che si riferiscono a periodi e fatti storici passati, quando vengono utilizzate per riflettere sul mondo contemporaneo, possono aiutare a vedere aspetti nascosti dei fenomeni considerati e al tempo stesso ingenerare equivoci e fraintendimenti: possono cioè, mentre illuminano alcune dinamiche, nasconderne altre. Con l’intervento raccolto in questo libro, Primo Levi aiuta ad utilizzare la categoria di “fascismo”, che periodicamente ritorna nel dibattito politico italiano, per lo più come una logora pedina da giocare sulla scacchiera della propaganda.
Il libro curato da Arnold I. Davidson raccoglie la discussione di una tavola rotonda a cui parteciparono, oltre a Primo Levi, Remo Cantoni, Francesco Carnelutti e Cesare Musatti (fu pubblicata in Storia illustrata, n. 6, anno V, 1961). L’introduzione di Arnold I. Davidson (Gli esercizi spirituali di Primo Levi, pp. 5-19) e la Lettera di Ferruccio Maruffi danno spunti di lettura e suggestioni importanti al lettore: in particolare, Davidson richiama la riflessione di Pierre Hadot sul «distacco da sé», sullo sforzo di decentrarsi e di mettersi in una prospettiva diversa da quella egoistica e auto centrata, per rileggere l’appendice del 1976 a Se questo è un uomo, e soprattutto il seguente passaggio:

«Devo confessare che davanti a certi visi non nuovi, a certe vecchie bugie, a certe figure in cerca di rispettabilità, a certe indulgenze, a certe connivenze, la tentazione dell’odio la provo, ed anche con una certa violenza: ma io non sono un fascista, io credo nella ragione e nella discussione come supremi strumenti di progresso, e perciò all’odio antepongo la giustizia. Proprio per questo motivo, nello scrivere questo libro, ho assunto deliberatamente il linguaggio pacato e sobrio del testimone, non quello lamentevole della vittima né quello irato del vendicatore…» (Se questo è un uomo, in Opere, vol. I, Einaudi, Torino 1997, p. 175).

Levi chiamava i lettori al ruolo di giudici. Nel farlo, confessava di vivere il conflitto di chi è tentato dall’odio e, tutto sommato, proprio il suo richiamo ai lettori – mettendosi in «una prospettiva che supera l’individuo Levi» (p. 11) – consegue alla necessità di condividere quel conflitto con uno sforzo di giudizio a più voci e con la speranza di un’immaginazione politica esercitata pubblicamente, costruita su una sobria educazione alla giustizia, al disgusto per le vecchie bugie, per le connivenze e le indulgenze.
Il fantasma dell’odio e la tentazione della violenza, infatti, nella prospettiva di Levi, possono contaminare tutti. Per questo si trova in Levi un invito alla meditazione, alla lettura, a sostare sulle testimonianze e a riflettere sull’animo umano: è la capacità di «dialogare con se stessi» che permette a Davidson di parlare di esercizi spirituali riferendosi tra l’altro all’Hadot di Esercizi spirituali e filosofia antica.
Come passare però, di nuovo, dal dialogo con se stessi alla politica? A questo proposito c’è un brano a cui Davidson dà opportunamente grande risalto. Sono le battute conclusive dell’intervento di Levi alla tavola rotonda, in risposta alla domanda:

«Il processo Eichmann e la documentazione delle nefandezze naziste hanno un valore educativo esemplare nei confronti delle nuove generazioni? Servono a combattere efficacemente ogni forma di odio razziale e ogni tipo di ideologia di tipo nazista e fascista?»

La risposta di Remo Cantoni inizia con un deciso «sì». Francesco Carnelutti risponde che «il problema posto dall’ultima domanda è il problema della esperienza» e che, tuttavia, «l’esperienza, fino a che è esperienza degli altri, conta poco; riguardo al processo Eichmann fa notare che «Israele non avrebbe dovuto dimenticare che la parte lesa non può essere giudice» (p. 34). Manca la risposta di Cesare Musatti, mentre Levi dice:

«Il processo Eichmann e la documentazione delle nefandezze naziste hanno un indubbio valore educativo, ma non bastano. La loro efficacia, la loro portata, non sarà grande finché permane, in Germania ed anche in Italia, l’ambiguo clima di vacanza morale che è stato instaurato dal fascismo, e gli sopravvive parte per inerzia, parte per sciocco calcolo.
Questa necessaria restaurazione morale non può venire che dalla scuola. Che Eichmann sia colpevole, salta agli occhi; ma occorre che ogni cittadino, fin dai banchi della scuola, impari che cosa significa verità e menzogna, e che non si equivalgono; e che si può macchiarsi di colpe gravissime a partire dal momento in cui si abdichi alla propria coscienza per sostituirla col culto del Capo “che ha sempre ragione”» (p. 46).

«Vacanza morale del fascismo», «culto del Capo “che ha sempre ragione”» e «banchi della scuola»: attorno a questi tre poli è ancora necessario interrogarsi su come sia possibile esprimere, attraversando ciò che la tentazione dell’odio e della violenza significano, almeno il disgusto per i tempi in cui sembra prevalere – tra compromessi e indulgenze – un «ambiguo clima di vacanza morale». Sono i nostri tempi, e credo che dalla risposta di Levi si possa ricavare che non basta esercitare la memoria o, come dice Davidson, la «comprensione astratta»: o meglio, che non si può esercitare la memoria senza esercitare al tempo stesso un’immaginazione politica che parta dai banchi di scuola, dalla cura per l’esercizio dell’autocoscienza individuale e sociale fin dai banchi di scuola: esercizio della capacità di ascoltarsi, di sostare nelle «zone grigie» e di attraversarle, di inventare assieme mondi possibili. Il che comporta che si diano occasioni per farlo, che ci sia un investimento politico che sceglie di agire in questa direzione. Altrimenti, tutti i discorsi su reti e social networks a supporto della partecipazione politica resteranno capitoli buoni per i manuali di marketing elettorale e non contributi ad un pensiero propriamente politico. È perfettamente in sintonia con un «ambiguo clima di vacanza morale» la commistione tra moralismi e opportunismi miopi, tra polemiche sull’opportunità che le veline ricoprano incarichi politici e il fatto che politici di lungo corso si approprino del potere riciclandosi ad ogni occasione, la stessa commistione tra la rituale commemorazione degli “errori del passato” e la cecità per gli errori del presente, mentre l’idea che il culto del capo funzioni è confermata – forse persino in buona fede – da chi ha iniziato a credere (perché lo insegna il marketing elettorale che guarda solo all’esistente) che il successo politico si giochi sulla scelta della leadership o dei simboli. Così si afferma la vacanza morale, risvolto dell’atrofia dell’immaginazione politica, dell’assuefazione del gusto etico ed estetico ai tanti fast-food moralistici e anestetici, dell’incapacità o della disabitudine a pensare il possibile, nel male e nel bene.

PRESENTAZIONE DI ARNOLD DAVIDSON su YouTube: http://www.youtube.com/user/edizioniets

Gli autori:

Primo Levi (1919-1987) fu deportato ad Auschwitz (febbraio 1944-gennaio 1945). È autore tra l’altro di Se questo è un uomo (1947), La tregua (1963), I sommersi e i salvati (1986).
Ferrucio Maruffi (1924) è presidente dell’Associazione nazionale ex deportati (sezione di Torino): catturato nel marzo 1944, rimase a Mauthausen fino al 5 maggio 1945.
Arnold I. Davidson insegna all’Università di Chicago e all’Università di Pisa; è curatore dei testi in francese e in inglese di Michel Foucault.

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