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John Dupré, Natura umana. Perché la scienza non basta (2001)

Trad. it. di B. Tortorella, Laterza, Roma-Bari 2007

Recensione di Luca Mori


copertinaJohn Dupré insegna Filosofia della Scienza presso l’Università di Exeter, dove dirige l’Egenis (ESCR Centre for Genomics in Society). Il titolo originale di questo libro – il primo, dell’autore, tradotto in italiano – è Human Nature and the Limits of Science.

Dupré scrive questo libro con il trasporto di chi sa che i punti di vista epistemologici errati possono avere «conseguenze pratiche» molto preoccupanti. Uno dei casi esemplari, evidenziati fin dall’introduzione, pertiene alla medicina e riguarda la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), che negli Stati Uniti riguarderebbe milioni di bambini (il 3-5% dei bambini in età scolare). Quali opzioni ci sono per “risolvere”, di volta in volta, i conflitti che i bambini più recalcitranti alla situazione scolastica e più incapaci di concentrarsi possono innescare con l’insegnante, nel rapporto tra scuola e famiglia, e così via? Quante opzioni sono visibili, e a quali condizioni? La risposta prevalente al problema è il Ritalin. Dupré osserva: «Non trovo affatto sorprendente che così tanti bambini oggi, e in passato, abbiano avuto difficoltà a concentrarsi a scuola. Ciò che mi preoccupa è che si sia giunti alla conclusione che ci sia qualcosa che non va nella testa di questi bambini, qualcosa da curare con farmaci psicotropi che producono assuefazione» (p. 17).
Il punto è questo: un’epistemologia per la quale tutto ciò che pertiene al mentale è immediatamente e deterministicamente influenzabile agendo sul fisico (ipotesi “forte” di “monismo” tra livello mentale e fisico) avallerà l’opzione del Ritalin: non occorre porsi altre domande poiché si assume che mentale e fisico siano equivalenti e che, dunque, intervenire su un livello sia come intervenire sull’altro. Con la differenza che intervenire sul fisico è il modo più veloce e sicuro per risolvere (attenuare, sedare, etc.) il problema (è anche il modo che contribuisce maggiormente all’incremento del P.I.L.).
Per contro, John Dupré evidenzia che un’epistemologia differente, capace di focalizzare la natura relazionale del mentale, costringe a interrogarsi sulle relazioni (di insegnamento, familiari, sociali) nelle quali il bambino vive, come sistema mente-corpo complesso.
In una prospettiva relazionale, una situazione di conflitto nella scuola può diventare un’opportunità per “distanziarsi” dallo status quo che produce la crisi e per ripensare l’esistente (dalla relazione di insegnamento a quella tra compagni di classe, e così via).
In sintesi, l’opzione farmacologica guarda all’intrinseco: riscontrata una situazione di conflitto, si individua il soggetto (bambino) che la provoca; si assume che il problema sia “intrinseco” alla sua mente (e al suo corpo), e si interviene agendo sul livello dell’interazione più meccanicamente accessibile (sostanza psicotropa attiva sul bambino come corpo malato). L’opzione dischiusa da un’epistemologia complessa (quella che Dupré sostiene), riscontrata una situazione di conflitto si interroga sui contesti e sulle relazioni.
Il problema epistemologico affrontato da Dupré è già stato sollevato in altre occasioni nella storia della filosofia. Schopenhauer aveva ben presente, ad esempio, il quesito relativo al mentale: tema rispetto al quale, essendo stata rilevata una discontinuità troppo marcata rispetto alla descrizione fisica, filosofi come Cartesio, Locke e Leibniz avevano postulato un intervento divino nelle dinamiche del naturale [cfr. ABC di Polemos, voce Complessità].
In uno scritto poco noto di Schopenhauer, troviamo la tesi che «in termini fisici si può spiegare tutto e niente» (Adversaria, 1828, in A. Schopenhauer, Scritti postumi, testo stabilito da A. Hübscher, ed. it. diretta da F. Volpi, vol. 3, p. 533). Più precisamente, il filosofo illustrava il suo punto di vista come segue: «La fisica non può assolutamente bastare a se stessa e camminare sulle sue gambe, ma ha bisogno di una metafisica su cui poggiare. Essa infatti spiega le apparenze mediante qualcosa di tanto ignoto quanto le apparenze stesse, cioè mediante forze, e tutte le sue spiegazioni portano a qualcosa di completamente sconosciuto e inspiegabile in termini fisici» (ivi).
Dupré mette criticamente a tema l’ipotesi, «terribilmente cartesiana», secondo la quale le uniche alternative concepibili riguardo alla relazione di mente e cervello sono «il dualismo ontologico» o la tesi per cui «la nostra mente equivale al nostro cervello» (p. 37).
Semplificando, Dupré pensa ad un tipo di naturalismo nel quale l’ipotesi cartesiana appaia «del tutto ingiustificata»: «uno degli aspetti più dannosi dell’eredità di Cartesio – osserva ancora Dupré – è proprio la presupposizione che o esiste un solo tipo di cosa nell’universo, sia essa mente o materia, oppure ne esistono due, mente e materia» (ibidem).
Altrimenti detto: Cartesio riesce a pensare le relazioni solo dopo aver distinto e isolato i loro termini. Così facendo, il mondo è come un congegno meccanico, in cui la “struttura” e l’“identità” dei singoli pezzi esiste indipendentemente dalle relazioni in cui sono calati.
Dupré è invece fautore di un naturalismo alternativo sia alle varianti aggiornate del dualismo cartesiano (con le intromissioni teologiche che finiscono con l’avallare) sia al monismo, cioè all’atteggiamento ideologico dell’«imperialismo scientifico» che aspira alla riduzione ad uno (reductio ad unum) di tutto l’esistente e di tutto lo scibile.
In positivo, la tesi di Dupré «è che l’unica speranza di trovare una risposta illuminata a queste domande è di tipo pluralistico, un approccio che attinga sia alla conoscenza empirica derivabile dalle (varie) scienze, sia alla saggezza e alla comprensione della natura umana che si possono derivare da studi più umanistici» (p. 7). Egli si riferisce esplicitamente ad una “metafisica” pluralistica (p. 21), nella quale peraltro diventa dubbia l’esistenza stessa di qualcosa come la «natura umana» (p. 203), intesa al singolare.
Concludendo, il libro sollecita un confronto con i concetti, le metafore e gli autori riconducibili all’orientamento epistemologico della complessità, in primo luogo per chi si interroga sulle nature umane.

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