Editrice Berti, Piacenza, 2000
Recensione di Giulia Boato
Due occhi grandi e neri aveva Franz Jaegerstaetter, espressione del suo acume, della sua curiosità, della ricerca di risposte alle sue tante controverse domande che gli struggevano l’anima.
Franz era un contadino, nato nel 1907 nella borgata di St. Radegund nell’Austria superiore, figlio naturale di Rosalia Huber e Franz Bachmeier, adottato poi dal marito della madre Heirich Jaegerstaetter.
Nella famiglia Jaegerstaetter Franz impara l’amore per la lettura “perchè un uomo che non legge niente non si potrà reggere in piedi e sarà solo una marionetta nelle mani degli altri”(1), ma è nel matrimonio con Franziska Schwaninger che egli trova l’ispirazione, che si tramuterà in passione, per approfondire la letteratura religiosa. Ed è esattamente nel suo sentirsi profondamente cristiano che Franz affronta il suo conflitto interiore – negato dalla stragrande maggioranza della società in cui vive – elaborandolo in una difficile scelta che gli costerà la vita: il 9 agosto 1943 viene condannato a morte e decapitato per aver rifiutato di prestare servizio militare “a motivo della inconciliabilità che riconosce tra il nazismo e la sua fede cristiana”(1).
Quello che scaturisce dal libro di Erna Putz, oltre ad un bel ritratto di Franz e della sua famiglia, è un completo quadro sull’atteggiamento della Chiesa in Austria dal 1933 a dopo la fine della guerra. Anche se sofferente dal punto di vista stilistico, la descrizione storica apre gli occhi sulle complesse, intricate e subdole dinamiche che intercorsero fra i nazisti e il clero e contemporaneamente su quella che Franz definisce “la più grande persecuzione di cristiani che sia mai stata messa in atto”(1). Degno di nota in senso contrario è l’atteggiamento del vescovo di Linz Johannes Maria Gfoellner, che già nel 1932 riconosceva i pericoli del nazionalsocialismo, e di alcuni altri sacerdoti che anche dopo il “Sì” dell’Austria al referendum del 1938 per l’annessione al terzo Reich mantennero atteggiamenti critici e furono “non di rado internati in campi di concentramento senza giudizio del tribunale”(1).
Per Franz il conflitto si esprime nella domanda: “Si può essere cristiani e nazisti?” Ciò che è purtroppo certo è che la maggioranza dei cristiani all’epoca non accedono nemmeno a tale conflitto, “preferendo rinviare all’esterno e all’altro le responsabilità”(2). Scrive Franz, “quasi tutti noi vogliamo godere del bottino ed attribuire ad una persona sola la responsabilità di tutta la faccenda!”1, ma “anche se non viene considerato peccato il fatto che noi cattolici combattiamo [...] per la vittoria del nazionalsocialismo, mi pare tuttavia una cosa impossibile che pregando per la pace possiamo trovare ascolto quando in effetti facciamo l’esatto contrario di ciò per cui preghiamo”(1).
Anche se non è facile Franz accede a questo conflitto “accettando la relativa crisi depressiva derivante dal chiedersi quali siano le proprie responsabilità accanto a quelle degli altri”(2). Prima della sua definitiva scelta rivolge anche al vescovo di Linz Fliesser, succeduto a Gfoellner, alcune delle domande che lo angosciano: “Chi osa affermare che solo uno ha la responsabilità di questa guerra, per cui così tanti tedeschi hanno dovuto dire il loro “Sì” o “No”? Perchè ora si considera giusto e buono ciò che la massa grida e fa? E’ possibile ora raggiungere felicemente l’altra sponda, se ci lascia trasportare indifesi dalla corrente?”(1).
La difesa di Franz sono tutte le sue letture dei libri sacri e solo con quel bagaglio trova dentro di sé la risposta ai quesiti che lo attanagliavano, elabora dolorosamente il suo conflitto, che lo porta ad affrontarne molti altri viste le condizioni al contorno della sua radicale scelta. “Per tornare felicemente a riva l’unica alternativa è nuotare controcorrente”(1).
(1) Erna Putz, “Franz Jaegerstaetter. Un contadino contro Hitler”, Editrice Berti, Piacenza 2000.
(2) Ugo Morelli, “Conflitto Identità Interessi Culture”, Meltemi Editore, Roma 2006.