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Marco Aime, Eccessi di culture

Einaudi, Torino, 2004

Recensione di Antonio Castagna


copertina“A incontrarsi o a scontrarsi non sono culture, ma persone”. Basterebbe memorizzare bene questa frase per evitare di commettere e pensare una serie di sciocchezze.
Marco Aime, infatti, parte da questo semplice dato per analizzare una sequenza impressionante di casi arrivati alla ribalta della cronaca italiana degli ultimi anni: il Preside di una scuola della provincia di Cuneo che concede un giorno di vacanza per il Ramadan e viene accusato di piegarsi alle esigenze dei musulmani; il caso delle maestre di una scuola della provincia di Como che respingono il sindaco travestito da Babbo Natale per non turbare i bambini musulmani con simboli della cristianità; le polemiche sulla presenza delle croci nelle aule e nei luoghi pubblici ecc.
I protagonisti di questi episodi sembrano commettere il medesimo errore epistemologico: considerare (implicitamente e spesso a fin di bene) le culture come recinti, chiuse, immobili, capaci di comprendere al proprio interno tutti gli individui che ne sono parte in ogni loro manifestazione, desiderio, inclinazione.
Il multiculturalismo, prospettiva del resto carica di buone intenzioni, ha contribuito fortemente a legittimare una prospettiva di recinti chiusi. Tale prospettiva finisce per rinforzare la percezione della nostra differenza rispetto ai nuovi arrivati, agli immigrati, agli arabi. Nello stesso tempo rinforza anche, ricorsivamente, i processi di chiusura su se stessi e di ripiegamento sulla propria cultura d’origine dei nuovi arrivati.
Le prospettive a cui il multiculturalismo dà vita si rivelano pertanto o quella buonista dell’accettazione del diverso (ma fino a che punto è accettabile?) o quella del rifiuto, proprio in nome della propria diversità e del diritto di occupare il proprio spazio senza interferenze.
È una prospettiva che non prevede il conflitto, il confronto, il cambiamento, oscillando tra l’accettazione del tipo tutto va bene, e il rifiuto in nome di una differenza assoluta.
Marco Aime propone un’altra prospettiva, che rimette al centro gli individui e le loro identità sfumate e cangianti. In questo senso, anche gli stereotipi possono servire da bussola per conoscere. Possono diventare cioè utili semplificazioni adatte a costruire il confronto con il singolo individuo, piuttosto che etichetta escludente. “Gli stereotipi – scrive Aime – non sempre danno vita a una politica di esclusione: per farlo occorre una strutturazione politica che trasformi un sentimento (…) in azione organizzata e mirata non più verso un singolo individuo, ma verso una categoria di individui”. Lo stereotipo utile è cioè quello accompagnato dall’umorismo, e che fa dire a Moni Ovadia: “Io ebreo e democratico non mi sento razzista quando mi lamento affettuosamente con Albert, il fisarmonicista del mio gruppo a cui per tre volte è sparito il cellulare, sul fatto che proprio a me doveva capitare l’unico zingaro che si è fatto derubare”.
Eccessi di culture è un pamphlet ben scritto, di facile lettura, solido dal punto di vista teorico. Una buona guida per orientarsi nei conflitti che facilmente possono scivolare nel relativismo buonista o, viceversa, nello scontro tra culture.


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