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Amartya Sen, La democrazia degli altri

Mondadori, Milano, 2004

Recensione di Antonio Castagna


copertinaIl breve testo di Amartya Sen è composto di due articoli, il primo dei quali Le radici globali della democrazia è apparso su ‘The new Republic’ nell’ottobre del 2003 e in Italia su ‘Internazionale’, mentre il secondo, La democrazia come valore universale è il testo del discorso pronunciato alla ‘Global Conference on Democracy tenutasi a Nuova Dheli nel 1999 e già apparso sul ‘Journal of Democracy’, nel luglio del 1999.
I due testi ruotano intorno a due idee fondamentali. La prima è che quando parliamo della democrazia dovremmo considerare la presenza della “discussione pubblica” (“l’esercizio della ragione pubblica” secondo l’espressione di John Rawls) come principale indicatore della sua presenza, mentre, al contrario, viviamo un tempo in cui si tende ad appiattire l’idea di democrazia sull’esistenza o meno di libere elezioni. Questa concezione allargata permette di considerare come fondamentali le libertà civili, di parola e di stampa, in quanto permettono al demos di avere una voce e quindi la possibilità di orientare le decisioni e le scelte. La conseguenza principale che ne deriva è che, se è difficile rintracciare fuori dalla tradizione occidentale forme di democrazia elettorale, sono molti invece gli esempi di tradizioni in cui la discussione pubblica è consentita ed è aperta (ne parla anche Serge Latouche ne La sfida di Minerva, Bollati Boringhieri, 2000). L’idea, pertanto, che la democrazia trovi le sue radici esclusivamente in occidente si rivela fallace e soprattutto cieca, perché non permette la valorizzazione di tradizioni diverse presenti in altre parti del mondo.
La seconda idea fondamentale è che la democrazia sia un valore universale. Condizione per essere valore universale non è il fatto che sia un valore riconosciuto da tutti, ma il fatto che tutti, in ogni parte del mondo, possono “avere ragioni per considerarlo tale” (p. 67). È proprio questo punto quello che può permettere l’innescarsi di processi conflittuali, capaci di generare il cambiamento. Tale posizione supera infatti sia una concezione fissista delle differenze, per cui si ritiene opportuno accettare qualsiasi espressione culturale in nome del rispetto delle culture “altre”.
La superiorità della democrazia sta, secondo Sen, nel potere correggere gli errori, consentendo, in virtù della pubblica discussione e di libere elezioni, di rimediare a scelte sbagliate, dando voce a chi normalmente subisce più degli altri.
Non è detto che la democrazia in sé porti a un maggiore sviluppo economico, ma è certo che dove c’è democrazia non ci sono carestie mortali per la popolazione, e c’è una maggiore attenzione alla qualità della salute pubblica.
Alcuni degli esempi riportati spesso nel testo riguardano l’India, la sua capacità di superare le crisi economiche e le carestie limitando l’impatto sui più poveri, la sua capacità di tenere insieme popolazioni, culture, sistemi di vita molto diversi, mentre gli inglesi, prima di andare via erano sicuri che la loro assenza avrebbe avuto esiti catastrofici. Tutto questo fa dire all’autore che dove ci siano crisi gravi è di più democrazia che c’è bisogno, non meno.
Sono tre, riassumendo, le funzioni della democrazia:
1) “La libertà politica è parte integrante della libertà umana in generale […] costituisce un valore intrinseco”.
2) “La democrazia ha un importante valore pratico per accrescere l’attenzione ottenuta dal popolo quando dà voce alle proprie richieste”.
3) La pratica della democrazia offre ai cittadini l’opportunità di imparare gli uni dagli altri”.
Volendo riassumere il senso del libro potremmo dire che la democrazia non è proprietà esclusiva dell’occidente, come certe semplificazioni alla Samuel Huntington vogliono far credere, e che essa è necessaria anche in situazioni di crisi, sia economica che politica, perché contiene la molteplicità dei punti di vista e quindi è capace di favorire l’apprendimento reciproco dei cittadini e la definizione delle priorità. Amartya Sen dice in modo semplice cose semplici, va alla radice delle ragioni della democrazia, sottraendo spazio a sofismi e semplificazioni, valorizza del processo democratico la possibilità dello scambio, del confronto, della discussione. In un’epoca di banalizzazione e di dittatura delle maggioranze è un contributo di cui essere.

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