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Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua

Feltrinelli, Milano, 2003

Recensione di Matteo Rizzolli


copertinaL’uscita in Italia dell’ultima fatica di Vandana Shiva, fisica ed economista Indiana, nota esponente dei movimenti ambientalisti e del Social Forum Mondiale, fondatrice del Research Foundation for Science, Technology and Ecology, ha anticipato di qualche settimana il Forum alternativo mondiale dell’acqua di Firenze (21-22 marzo).
Il suo libro si apre con una citazione di un noto esponente della Banca Mondiale che nel 1995 affermò: “Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua”.
Il libro della Shiva raccoglie le prime conferme che quella profezia stia sistematicamente diventando realtà, anche grazie, afferma l’autrice indiana, alle politiche promosse dalle istituzioni di Bretton Woods. La fede cieca nelle forze taumaturgiche del mercato ha trasformato quello che era un problema di gestione dell’abbondanza di acqua, in un problema di scarsità.
La Shiva esamina l’interruzione del ciclo dell’acqua nei sui vari aspetti. La deforestazione e l’attività estrattiva innanzitutto. La diffusione dell’agricoltura industriale con la rivoluzione verde che ha letteralmente prosciugato enormi bacini e riserve naturali di acqua sia all’aperto che nel sottosuolo nei paesi del Sud. La sostituzione dei sistemi di conservazione e distribuzione diffusi sul territorio con le enormi infrastrutture idriche quali le dighe faraoniche.
Questi stravolgimenti, spiega la scienziata indiana, si vanno a sommare ad un cambio epocale nel modo in cui l’uomo concepisce la risorsa “acqua”; non più un bene comune e sacro in quanto rappresenta la base ecologica della vita, ma bensì una merce parcellizzabile ed allocabile attraverso i meccanismi del mercato. Un cambio ancora una volta guidato dall’ideologia neoliberista che ha forzato la privatizzazione dei servizi idrici in molti stati del sud del mondo nel contesto dei programmi di aggiustamento strutturale. Un’ideologia opportunisticamente assecondata, se non suggerita, dalle multinazionali del nord del mondo che vedono nel business dell’acqua “the next big thing”.
Il lavoro si spinge però oltre le implicazioni culturali ed ecologiche del modo di servirsi dell’elemento “acqua”. Esso infatti disegna lo scenario delle guerre prossime venture, ma anche di quelle già in corso dal Punjab alla Palestina, combattute per il controllo e la gestione dell’acqua sul territorio anche se spesso mascherate da rivalità etniche e religiose.
Attraverso un approccio ecologico complesso e radicale, anche se a volte indugia nella retorica del “si stava meglio quando si stava peggio”, Vandana Shiva invita alla riscoperta dei saperi indigeni e delle antiche tecnologie dell’acqua, in grado di disinnescare potenziali conflitti e creare occasioni di vero sviluppo, infine in grado, per usare le parole dell’autrice, di creare “abbondanza dalla scarsità”.

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