Editori Laterza, Roma-Bari, 2002
Recensione di Antonio Castagna
Al centro dell’interesse di Jervis sono tre parole chiave: responsabilità, individualismo, cooperazione. Jervis mette al centro della sua attenzione l’individuo, fondamento della vita sociale, almeno nelle concezioni che regolano la modernità, in cui l’individuo diventa centro di diritti e di doveri, decisore, attraverso la delega, nelle società democratiche, soggetto economico del liberismo, nonché fulcro dell’attenzione degli psicologi in quanto portatore di identità.
A scanso di equivoci, in diversi punti del libro, l’autore propone una critica radicale del collettivismo che relega l’individuo in secondo piano rispetto alla dimensione storica e collettiva. Con la fine delle utopie, infatti, che segna il fallimento dell’ipotesi secondo la quale, rimossi gli ostacoli (dati dal dominio di classe) al pieno dispiegamento dei talenti e delle inclinazioni naturali, la cultura ci avrebbe resi migliori, la centralità dell’individuo emerge in tutta evidenza, con i suoi limiti e le dinamiche nelle quali è coinvolto. La prospettiva è fortemente critica nei confronti di tutte quelle derive teoriche ed ideologiche che alimentano l’immagine di individuo consolatoria o, viceversa, minacciosa. Per farlo sta ben attento a sgomberare il campo da ogni possibile lettura moralistica che finirebbe per disinnescare la carica critica del testo condannandolo all’insignificanza.
Responsabilità
La sua è una posizione pragmatica, per cui ogni azione viene valutata per i suoi effetti e non per le intenzioni. Mettere al centro della discussione le intenzioni porta troppo spesso ad ammettere tutto in nome di un buonismo che non permette più di individuare le responsabilità. Inoltre, quando si introduce nell’ordine del discorso l’intenzione, e la si mette al centro del confronto, qualsiasi discussione finisce per fare a meno dei dati di realtà (gli effetti) per fare spazio a opinioni circa le intenzioni. Il discorso sulle intenzioni inoltre è fattore di distorsione del discorso pubblico e politico, introducendo un’etica dei principi per affermare la quale la realtà viene piegata e manipolata senza tenere conto affatto degli effetti. Affermare i principi (per quanto giusti) fa perdere di vista l’effetto delle azioni e lascia emergere analisi non fondate su dati di realtà, ma su opinioni circa le intenzioni, annacquando il principio della responsabilità fino a renderlo nullo. Sarebbe come analizzare il fascismo non da quello che storicamente determinò, ma dalle intenzioni di Mussolini, o dalla buona fede dei “ragazzi di Salò”. Da lì a negare i fatti, come certi episodi dell’attualità dimostrano bene, il passo è brevissimo.
Individualismo
L’individualismo metodologico costituisce il secondo polo di attenzione. Jervis si sofferma essenzialmente su due aspetti, da una parte affronta il rapporto tra parte innata e cultura nello sviluppo individuale. È vero che non siamo geneticamente programmati a essere ciò che siamo, che altrimenti si negherebbe qualsiasi possibilità al cambiamento e all’apprendimento, si negherebbe cioè la dimensione specificamente umana dell’esistenza; tuttavia non si può dire che siamo solo cultura. Nell’intersezione tra le due dimensioni nasce l’individuo.
L’individualismo, che trova nel protestantesimo uno dei suoi momenti fondativi e nell’illuminismo uno dei suoi momenti alti, ha conosciuto nella storia un buon numero di oppositori. Tra questi, quelli che attualmente Jervis riconosce tra i più pericolosi, sono quelli che sostengono che qualsiasi idea, purché sostenuta in buona fede, abbia diritto di cittadinanza. L’effetto è la negazione dei dati di realtà, per cui si finisce per confondere la fisica per un’opinione, e l’astronomia con l’astrologia. Anche negli strati popolari si è diffuso quello che Jervis definisce il “relativismo cognitivo”. Grazie a questa posizione, anche posizioni politiche critiche e di natura antiautoritaria finiscono per condannarsi all’insignificanza. Combattere scelte giudicate sbagliate significa infatti impegnarsi nella ricerca di dati che abbiano un fondamento certo da contrapporre ad altri. Combattere in nome dell’immaginazione significa restituire all’autorità tutto il potere di scelta, quindi, paradossalmente, questo tipo di posizioni finisce per allearsi con i poteri costituiti.
I due fondamenti dell’individualismo moderno sono l’autonomia e la responsabilità. Quando uno dei due fondamenti, quello della responsabilità, mancando il riferimento a realtà accertabili, viene negato, allora anche la prospettiva individualista diventa poco credibile, generando un individualismo soggettivo, irresponsabile, in ultima analisi prevaricante.
Cooperazione
La cooperazione infine. Anche in questo caso Jervis deve sgomberare il campo dal moralismo. Alla parola cooperazione infatti tendiamo a dare un valore positivo, ma essa non è necessariamente frutto di belle intenzioni, né gli effetti sono sempre desiderabili. Inoltre cooperare e competere non sono affatto concetti contrapposti, perché nel comportamento umano sono sempre intrecciati. Dal caso della madre e del bambino che cooperano nel processo di sviluppo della nuova individualità, mentre competono e confliggono per liberarsi dal rapporto simbiotico, per la conquista della propria rispettiva autonomia; agli innamorati che talvolta sentono anche il bisogno di stare da soli, ai soci in affari che discutono ecc. Questo è tanto vero che quando manca uno dei due elementi, si pensa che ci sia sotto qualcosa di insano e patologico.
Connesso al tema della cooperazione c’è quello dell’altruismo e del dono, quello verso i propri prossimi, e quello verso estranei, altruismo che non nasce dall’esistenza di legami precedenti, ma che ha proprio la funzione di creare rapporti di fiducia, di innescare fenomeni di reciprocità. Ci sono poi i giochi relazionali complessi di competizione e cooperazione, come le trattative e le mediazioni, in cui due o più soggetti perseguono obiettivi distinti alla ricerca di soluzioni a somma non zero. È in questo intreccio di cooperazione e competizione che emerge la fiducia “combinazione ottimale tra operare e competere”, “un meccanismo per affrontare la libertà altrui” (p. 248), conclude Jervis citando Diego Gambetta (Le strategie della fiducia, Einaudi, 1989)
In tutti questi casi il conflitto emerge come costitutivo dei rapporti umani. L’individualismo proposto da Jervis infatti presuppone individui responsabili, capaci di distinguere i dati di realtà dalle fantasie, e perciò di assumere posizioni diverse a partire però da un oggetto condiviso. La mancanza di questo pone qualsiasi discussione e confronto all’interno di una confusa Babele nella quale tutto va bene e ognuno può dire e fare ciò che vuole e ciò che può. L’effetto è quello di un imbarbarimento dei rapporti, in cui a emergere è il più forte, o il più arrogante.
La valenza politica del saggio di Jervis, come evidenzia il sottotitolo, è nella sua radicalità teorica, che ci consente di osservare e criticare le teorie implicite, sulla mente, sull’individuo, che spesso guidano le nostre azioni, a vantaggio di una teoria capace di riflettere con distacco.