Brevi considerazioni partendo da C. Galli, I riluttanti. Le e'lites italiane di fronte alla responsabilita', Laterza, Roma-Bari 2012 / scritto il 22-11-2012
DOMANDA. Analizzando le vicende politiche degli ultimi anni, lei individua il principale fattore di crisi delle élites italiane nella riluttanza alla responsabilità, parlando di un fenomeno a due facce: apoliticismo e occupazione dello spazio pubblico con apatia, cinismo, mancanza di cultura e sottovalutazione del ruolo della politica. È come se, tanto dal lato delle élites, quanto dal lato dei cittadini, si fossero superate soglie critiche di indifferenza al ruolo della politica e al senso del pubblico. Pensando al secondo dopoguerra, ci sono stati periodi di buona integrazione tra il gioco delle élite plurali che si formano in democrazia e il principio democratico?
RISPOSTA. Come dico nel libro, una buona interazione c’è stata fra il 1955 e il 1975 circa (con limiti e deficienze, certo)
DOMANDA. Carl Schmitt, filosofo a cui lei ha dedicato importanti studi, nel Dialogo sul potere scrive di un corridoio, di un’anticamera che si forma attorno all’individuo che detiene il potere: «Il corridoio lo sradica dal terreno comune e lo innalza in una sorta di stratosfera in cui egli mantiene contatti soltanto con coloro che indirettamente lo dominano, mentre perde i contatti con tutti gli altri uomini su cui esercita il potere, che a loro volta perdono contatto con lui» [Carl Schmitt, Dialogo sul potere (1954), Adelphi, Milano 2012, p. 26]. L’anticamera è frequentata da persone in cerca di altri privilegi e genera un filtro tra il “capo” e il “terreno comune” dei rapporti umani. Che spunti ci offre l’immagine di Schmitt per la lettura delle vicende italiane degli ultimi anni? C’è un rapporto con la dinamica descritta da Schmitt e il tema della riluttanza alla responsabilità?
RISPOSTA. Non mi pare ci sia un rapporto. Prima di Berlusconi c’erano i partiti, che un rapporto con i cittadini l’avevano. Berlusconi era un leader populista che aveva un rapporto con i cittadini (le tv, top down; i sondaggi, bottom up). Il potente di Schmitt è un’altra cosa (è Hitler)
DOMANDA. Nel Trattato politico Spinoza scriveva che chi regge lo Stato può violare il contratto con il popolo se la violazione è «a salvaguardia dell’interesse comune»; tuttavia, deve farlo sapendo che tale violazione potrebbe avere come effetto la debilitazione delle energie della cittadinanza e che «il comune timore dei cittadini» può convertirsi in indignazione. L’autolimitazione del potere sovrano è qui collegata con la capacità dei cittadini di indignarsi di fronte alla violazione dell’interesse comune: nell’Italia di questi mesi lei vede margini per l’attivazione di un qualche circolo virtuoso tra l’espressione dell’indignazione dei cittadini e l’autocorrezione delle élites politiche? Più in generale, il gioco tra indignazione e autolimitazione è ancora plausibile oggi?
RISPOSTA. Non lo so. L’indignazione c’è (Grillo) e le élites non sanno bene che cosa fare (demonizzarlo, imitarlo, ignorarlo). Per l’autocorrezione delle élites davanti all'indignazione non c’è molto margine. È giunta invece un'eterocorrezione dall'Europa (Monti)
DOMANDA. Lei interpreta gli ultimi mesi del 2011 come «una sorta di 25 luglio costituzionale e incruento» (p. 123), facendo riferimento al distacco di Confindustria, della Chiesa, dei sindacati anche più accondiscendenti, dei leader europei dal governo Berlusconi. Restando al paragone suggerito dalla sua definizione, quali sono gli altri passi indispensabili per la liberazione dalle élites riluttanti alla responsabilità o, almeno, per la selezione di élites meno riluttanti? Servono nuove regole del gioco democratico? Servono prioritariamente nuovi modelli di educazione alla democrazia e di formazione dei politici? Cos’altro?
RISPOSTA. Il mio paragone (strutturale, non contenutistico) implicherebbe che le élites facciano la guerra insieme contro il nemico (che sono due: i diktat europei e il populismo antieuropeo) e che vinta la guerra si dividano. Il vorrebbe dire andare con Monti e con l’unità nazionale alle elezioni, e dare a queste un alto valore politico-programmatico, analogo a quelle de 1948. In subordine, c’è chi pensa che queste elezioni di grande significato programmatico non siano quelle del 2013 ma quelle del 2018, il che implica che prosegua la collaborazione fra i partiti e soprattutto che la supplenza di Monti continui.