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La classe

di Ugo Morelli / scritto il 30-10-2008

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Che ci costerà molto, comunque vada, il modo attuale di affrontare la crisi della scuola e dell’università è l’unico dato certo. Ad ogni osservazione emerge chiaramente, infatti, l’inadeguatezza delle misure proposte da chi governa e il vuoto d’idee e di progetti originali e differenti da parte dell’opposizione. Viene da chiedersi in quale mondo vivono coloro che governano o siedono in parlamento. Meno male che a livello locale, per ora, l’autonomia consente di prendere le distanze da certi orientamenti e da certe scelte. Anche se l’innovazione della didattica e la presa in carico di una radicale riforma della scuola per aggiornarla al presente sono questioni valide e urgenti anche nella nostra realtà.
Un film in proiezione in questi giorni, diretto da Laurent Cantet, La classe, è un’occasione molto utile di riflessione e di analisi. Si narra, in quel film tratto da un libro il cui autore è anche l’attore principale del film, della vicenda umana e professionale di un professore e della sua classe di adolescenti in una scuola francese. Alla fine del film non è per niente facile attribuire le responsabilità di quello che si può definire a tutti gli effetti un fallimento. In prima battuta verrebbe da considerare la non disponibilità dei ragazzi e il loro scomposto non rispetto dell’autorità, come la causa principale di ciò che non va, del disagio che si respira, dell’aggressività dominante. I problemi ci sono tutti: dalle difficoltà di apprendimento della maggior parte degli allievi, all’ordine difficile da mantenere, all’inconciliabilità delle differenze etniche, all’incomunicabilità diffusa, ai conflitti latenti o manifesti. Si fa strada progressivamente, però, un’altra considerazione. Le aspettative delle ragazze e dei ragazzi di avere una guida sono sistematicamente insoddisfatte. Essi mostrano di avere bisogno di essere contenuti e rassicurati, anche con autorevolezza, ma ciò non avviene e le loro aspettative rimangono insoddisfatte. Nella classe si crea un senso di vuoto crescente ed appare chiaro che non si costruisce un senso riconosciuto di presenza e appartenenza. Chi insegna mostra incapacità di creare un gruppo che apprende e non tiene conto o non sa tener conto delle sue dinamiche mentre apprende e vive. In questo contenitore “vuoto” i contenuti sono deboli, banali, effimeri, nel tentativo di ottenere consenso dagli allievi e di coinvolgerli in attività didattiche che dovrebbero apparire moderne ai loro occhi. Quei contenuti non hanno sistematicità e risultano discutibili per gli allievi. Cosicché discutibile diviene anche chi li propone. I metodi di insegnamento rispondono più a qualche improvvisata moda “new age” che a rigorose conoscenze di psicologia dell’apprendimento e di metodi coerenti con i modi in cui la mente umana e i gruppi umani apprendono. La relazione di apprendimento tra insegnanti e allievi si squaglia e degenera in liti e mugugni, facendo divenire la tenuta dell’ordine il principale obiettivo.
Una fotografia impietosa del presente di una scuola e dell’università, che attendono non certo provvedimenti distruttivi come quelli in discussione in questi giorni, ma un saldo e profondo processo di riforma dei contenuti e dei metodi di insegnamento e una rivoluzione nella professionalità docente.