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Il ruolo collosivo dell’informazione

di Antonio Castagna / scritto il 29-01-2007

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Prendo spunto dal dibattito e dalle polemiche scatenate dall’inchiesta di Fabrizio Gatti, "Il Policlinico degli orrori", su "L'Espresso" dell’11 gennaio 2007. L’inchiesta è meritevole di attenzione, anche perché è abbastanza raro che i giornali e i giornalisti italiani si occupino di fatti, preferendo massimamente fornire opinioni, come denuncia spesso Giuseppe D’Avanzo su “La Repubblica” e il recente libro di Marco Travaglio: "La scomparsa dei fatti".
Ma l’aspetto su cui vorrei soffermarmi è un altro, e cioè che il passaggio successivo alla denuncia contenuta in un’inchiesta è, da parte dei mezzi di comunicazione di massa, sempre regolarmente lo scandalo senza riflessione. Pochissimi infatti si chiedono come può accadere che una struttura sanitaria come l’Umberto I possa ridursi in quello stato, come fa in parte Umberto Veronesi su “La Repubblica" dell’8 gennaio, e Mario Pirani sullo stesso giornale il 9 gennaio. E anche nel caso di questo tipo di commenti, benché in sé informati e specifici, non sono mai connessi con un’attività di inchiesta in profondità sulle dinamiche sociali, organizzative e politiche da cui certi fenomeni scaturiscono. Quello che passa per lo più è la denuncia scandalizzata dei comportamenti individuali, per esempio i medici che vanno al bar con il camice, oppure i manager chiamati nella sanità pugliese presto sostituiti da altri manager di nomina politica (“La Repubblica”, 14 gennaio 2007, p. 17). Contemporaneamente il fenomeno si riduce, grazie anche all’intervento della Ministra Turco che ha inviato ispezioni dei Nas, a un problema di controlli di polizia. L’effetto quasi comico è che i giornali dopo qualche giorno finiscono per diventare un luogo di pettegolezzo sulle schifezze viste in questo o quell’ospedale, più o meno replicando le lamentele che ogni cittadino, a cui capita di frequentare un ospedale, fa al bar o con gli amici. I giornali e le televisioni così, invece di prendere spunto da una denuncia per analizzare a fondo un fenomeno finiscono per generalizzarlo, quindi lo trasformano in un problema di carattere morale (i medici e gli infermieri che non hanno voglia di lavorare, i politici che lottizzano), infine, incollandosi alle percezioni spontanee dei singoli cittadini, che hanno le loro responsabilità, ma avrebbero anche bisogno di qualcuno che li aiutasse a capirne di più, finiscono per giusticare le peggiori espressioni di qualunquismo. Questo tipo di collusione realizzata incollandosi al livello più generalizzante della critica, finisce per ottenere un effetto paralizzante. Infatti chi pensava, prima dello scandalo che la sanità privata è meglio di quella pubblica continuerà a pensarlo anche dopo, a dispetto dei dati, chi invece pensa che sia una questione morale continuerà ad avere buoni motivi per attaccare il malcostume altrui. Solo chi vorrebbe vedere le varie facce del problema, prenderne la giusta distanza, magari per cercare di intervenire partendo dalle domande invece che dalle risposte, resta solo e inascoltato, tanto pensare sembra non interessi a nessuno. L’Italia infatti sembra un paese continuamente alle prese con polemiche finte, dove i vari attori in realtà non cercano il conflitto, ma la possibilità di esprimersi ed apparire, compresa la Ministra Turco che pure appare così sobria e che magari poi si dedicherà anche con passione e competenza a modificare certi fenomeni. Ma perché non ne ha approfittato per aprire un dibattito ampio in Italia? Il punto è che se nessuno lavora per porre le questioni in una luce più complessa, diventerà difficile poi ottenere cambiamenti desiderabili, anche perché nessuno li capirà, abituato com’è a confermarsi nelle sue opinioni.

p.s. Alcune settimane fa Eugenio Scalfari parlò dell’Italia come uno specchio rotto tutto in frantumi. C’era qualcosa che non mi convinceva in quella tesi e oggi forse l’ho compreso. Il vero problema è la colla che ci tiene appiccicati a terra, quell’insieme di abitudini, di linguaggi e azioni che lavorano costantemente a confermare ognuno della giustezza e correttezza delle proprie posizioni, idee e comportamenti e, contestualmente, dell’errore dell’altro.

(Antonio Castagna)