di Antonio Castagna / scritto il 03-11-2005
La sospensione della sperimentazione sulla pillola RU486, che permette di abortire evitando l’intervento chirurgico, ha generato un dibattito che presenta alcuni risvolti interessanti. Faccio riferimento, in particolare, a un articolo di Adriano Sofri, L’aborto dei maschi, apparso su “La Repubblica” di venerdì 30 settembre 2005. Sofri risponde a Giuliano Ferrara che in diverse occasioni, sul suo giornale e in TV ha sostenuto la tesi che la pillola abortiva, banalizzando l’aborto, rischia di facilitare l’accesso allo stesso come se fosse una pratica contraccettiva. Il timore dell’intervento invasivo e il dolore costituirebbero invece una soglia dissuasiva.
Sofri contesta la posizione di Ferrara con due argomentazioni: invitandolo a immaginare cosa direbbe se fosse femmina e restasse incinta e sottolineando il peso della responsabilità che portano le donne. Nello stesso tempo riconosce che l’argomentazione di Ferrara ha qualche fondamento e ragione. Io vorrei soffermarmi su questo presunto fondamento e ragione, sul dolore come fattore educativo, tralasciando il discorso specifico sull’aborto, esperienza dolorosa di per sé che non mi pare necessiti di ulteriori aggravi punitivi, e provando ad allargare lo sguardo.
È vero che il dolore è una soglia importante, aiuta a percepire le differenze tra uno stato e l’altro, costringe a riflettere sull’opportunità o meno di compiere un gesto anziché no. I vecchi, per esempio, dicono spesso che i giovani capirebbero meglio il valore del denaro se avessero sofferto per guadagnarselo. Dicono anche che sprecherebbero meno se sapessero cos’è la fame. Mia nonna ogni tanto, per dire il suo disappunto esclamava: “Ah! A tempi di guerra…” e non aggiungeva altro, tanto tutti avevano capito.
Il dolore e la sofferenza, di per sé costituirebbero quindi soglie bastevoli a determinare un diverso processo educativo. Il che probabilmente è anche, almeno in parte, vero. Questo però mette in evidenza una drammatica mancanza del nostro tempo, vuol dire che l’uomo, avendo modificato radicalmente il suo modo di vivere, nel corso dei secoli, ha trascurato di accompagnare il progresso tecnico ed economico con invenzioni capaci di proporre un’educazione adeguata ai tempi. Da tale mancanza conseguirebbe, secondo Ferrara, ma anche secondo Sofri forse, che sembra accettare in maniera acritica una parte delle argomentazioni di Ferrara, la necessità di ricorrere, pur nelle mutate condizioni, a strumenti educativi che appartengono ad altre epoche, a riferimenti valoriali e a strutture sociali che ora non hanno più il carattere di contingenza storica, ma servono a reiterare modelli regolativi come se fossero validi in ogni tempo.
Quello che colpisce è la difficoltà per i laici di questo paese di porre le questioni sotto un’altra luce, di trasformare la paura dei cambiamenti della società, in invenzione di modalità nuove di convivenza e responsabilità. Occorrerebbe un nuovo salto di paradigma, innescare un profondo dibattito nella società che favorisca l’evoluzione di una nuova antropologia capace di confrontarsi con le trasformazioni del presente e di accogliere le sfide a carattere planetario, aprendo nuove strade, valorizzando le possibilità emancipative, piuttosto che limitarsi a difendere un diritto acquisito, come quello dell’aborto, senza allargare ulteriormente lo sguardo. Così, mentre i conservatori cercano scorciatoie, i laici e i progressisti si attardano in manovre difensive che lasciano spazio però, giustificandole, alle più retrive argomentazioni degli interlocutori. Il conflitto in questo dibattito resta confinato dentro una cornice data da regole morali adeguate, forse, a modelli di convivenza validi in un certo tempo, ma la cui dissoluzione richiede di reinventare, uscendo dalle cornici note e rassicuranti verso l’esplorazione dell’inedito. L’acquiescenza di Sofri nei confronti dell’elogio del dolore (degli altri) come fattore educativo sembra, pur nel disaccordo delle posizioni, confermare la comune appartenenza a contesti rivissuti più con nostalgia che con sguardo critico e aperto al futuro.
(Antonio Castagna)