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FIAT: emblema di un conflitto di lavoro

di Alberto Mattei / scritto il 18-04-2012

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La principale azienda automobilistica italiana, la FIAT, ha rappresentato nel biennio 2010- 2012 la principale, anche se non l’unica, nel variegato e frastagliato mondo del lavoro nazionale, rappresentazione di un vero e proprio conflitto del lavoro. Qualche anno fa, uno dei più autorevoli pensatori del nostro tempo, Zigmunt Bauman, affermava: “Mobilità e assenza di mobilità sono i due poli contrapposti della società tardomoderna o postmoderna. [...] I mondi sedimentati ai due poli, al vertice e al fondo della emergente gerarchia della mobilità, differiscono nettamente. Per il primo mondo, il mondo di chi è mobile su scala globale, lo spazio ha perduto la sua qualità di vincolo e viene facilmente attraversato. Per il secondo mondo, quello di coloro che sono legati a una località, di coloro cui è vietato muoversi, lo spazio reale si va rapidamente restringendo [...] divenendo il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi[:] la scala globale in cui operano le scelte degli investitori, quando la si mette a confronto con i limiti rigidamente locali imposti alle scelte dell’offerta di lavoro, mette in luce il dominio dei primi sulla seconda” (Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 98 ss.).
Non è difficile scorgervi quella che è ritenuta un’ovvietà degli attuali processi di globalizzazione economica: i capitali e le merci si spostano liberamente attraverso i confini globali, i lavoratori e, soprattutto, le loro rappresentanze (molto) meno. La FIAT, vero e proprio global player a livello internazionale, ad opera dell’Amministratore Delegato Sergio Marchionne, opera appunto in tale contesto.
Si rincorrono così i fatti dell’ultimo biennio: le operazioni negli Stati Uniti con l’acquisizione dell’azienda americana Chrysler a Detroit; il contratto per l’auto degli stabilimenti di Pomigliano d'Arco e Mirafiori, senza la sottoscrizione della FIOM; gli investimenti in Brasile, Serbia e in altri paesi; la fuoriuscita dal sistema Confindustria; ancora, la recente disdetta dal contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici con l’estensione del "contratto Pomigliano" a tutto il Gruppo FIAT, anche in questo caso senza la firma della FIOM; per non menzionare, infine, l’intervento del governo italiano con la manovra di ferragosto 2011 volta a dare efficacia agli accordi FIAT (il discusso art. 8 del decreto legge 138 del 2011).
In sostanza, l’azienda di Torino ha giocato e vuole continuare ad agire nello scacchiere globale; mentre la rappresentanza del lavoro costretta all'interno dei confini nazionali soffre.
Uno dei punti salienti su cui concentrare l’attenzione è l’impatto che tale strategia globale ha sulla contrattazione nazionale e sui livelli di rappresentanza dei lavoratori ossia quello di creare un conflitto di lavoro che assume i caratteri strutturali nel lungo periodo: uno dei problemi più critici riguarda il futuro delle organizzazioni sindacali storiche all’interno del gruppo di Torino.
Infatti, nello specifico, il nuovo contratto per il gruppo FIAT siglato il 13 dicembre 2011 dall'azienda e da FIM, UILM, FISMIC, UGL, Associazione Capi e Quadri FIAT, e qualche settimana dopo approvato dalla maggioranza delle rappresentanze sindacali unitarie presenti in azienda, prevede che dal 2012 non vi siano più tali rappresentanze, ma siano elette le sole rappresentanze sindacali aziendali per iniziativa dei sindacati stipulanti, prevedendo un periodo di 4 mesi nell'eventualità che la FIOM voglia prendere anch'essa parte all'accordo. Nei termini di legge, questa previsione contrattuale risulta essere in linea con l’art. 19 della legge n. 300 del 1970 (meglio conosciuto come lo Statuto dei lavoratori) in materia di rappresentanze sindacali aziendali: tale norma, dopo il referendum abrogativo del 1995, permette di costituire rappresentanze sindacali aziendali e conferire la relativa titolarità dei diritti sindacali ai soli sindacati firmatari di accordi applicati nell'azienda.
Tuttavia, questa disposizione dello Statuto ha suscitato numerose critiche, in particolare, dopo il contenzioso FIAT: la sua applicazione comporterebbe l’esclusione dal godimento dei diritti in azienda di sindacati come la FIOM, che è indubitabilmente rappresentativa pur avendo firmato l’accordo di dicembre.
Ad oggi, un percorso percorribile di intervento potrebbe essere, come sottolineato dalla dottrina giuslavoristica, una modifica legislativa sull’art. 19, previo accordo tra tutte le sigle sindacali, diretto a modificare la situazione attuale in tema di rappresentanza sindacale: si potrebbe così precisare come un’associazione di rappresentanza dei lavoratori non firmataria di un contratto collettivo possa, in ogni caso, esercitare i diritti sindacali all'interno dell'azienda (T. Treu, Il nuovo contratto Fiat, in Contratti&Contrattazione Collettiva, 1, 2012, p. 1).
A questo proposito, occorre tenere a mente che la FIAT è stata già condannata per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, (l’ultima pronuncia è del Tribunale di Torino nella decisione del 16 settembre 2011), riguardante il contratto stipulato a Pomigliano e Mirafiori, proprio per avere escluso la FIOM dalla rappresentanza in azienda.
Lo stesso giudice del lavoro torinese ha fornito, nelle motivazioni, un’interpretazione della norma dello Statuto dei lavoratori, secondo cui i diritti sindacali dovrebbero spettare non solo ai sindacati che hanno firmato gli accordi, ma anche a quelli che storicamente hanno partecipato ai negoziati e concluso delle intese aziendali, come la FIOM (T. Treu, cit.). Tuttavia, la reazione sul campo delle relazioni industriali, da parte di questa organizzazione dei lavoratori non si è fatta attendere: non accettando questo stato di cose, la FIOM ha deciso di indire un referendum tra tutti i lavoratori sull’accordo di dicembre, nel tentativo di farlo annullare; e le firme, ad oggi, sono state raccolte.
Inoltre, per intricare un quadro già di suo molto complesso, la situazione del sindacato dei metalmeccanici della CGIL è ulteriormente aggravata dal fatto che Federmeccanica, la categoria datoriale che riunisce le aziende metalmeccaniche, tra cui la FIAT fino all’autunno 2011, continua a considerare la FIOM non firmataria del contratto nazionale.
Intanto la FIOM, non potendo costituire una rappresentanza sindacale, ha abbandonato nelle ultime settimane Mirafiori: è una situazione certamente non chiara, lo stabilimento di poiché tutti i lavoratori con la tessera della categoria metalmeccanica della CGIL non hanno al momento loro rappresentanti in fabbrica.
Come si può intuire già da questi rilievi, le azioni intraprese dall’azienda torinese, nell'ambito della mobilità transnazionale del capitale e del lavoro, intensificano il conflitto di lavoro e, a sua volta, l’ala dura delle organizzazioni sindacali lo alimenta con azioni di contrasto e scontro, fino ad arrivare in giudizio, dove un giudice del lavoro si trova a dover decidere la vertenza e, pur dotato di ampia competenza in materia, non può che avere una limitata conoscenza delle scelte strategiche di lungo-periodo di un global player quale FIAT.
All'interno di questa delicata situazione un giudice “solitario” si trova così costretto a risolvere una situazione che difficilmente vedrà una soluzione pacifica per entrambi i fronti nel prossimo periodo; ed, anche in questo modo, si può vedere l’emblema di un conflitto di lavoro, rappresentato dalla principale azienda automobilistica non (solo) più italiana, ma globale.