Il Tirreno, 4 maggio 2015 / scritto il 19-05-2015
Dopo che Socrate assistette a una festa religiosa al Pireo, il porto di Atene (erano lontani i tempi dell’Expo di Milano e della festa del cibo annebbiata dagli scontri di piazza, anche se gli antichi greci sapevano molto bene come mangiare e bere), salì in città e si imbatté in Trasimaco. Si misero a discutere e Socrate chiese all’altro di dargli una definizione di giustizia. Con spregiudicato realismo Trasimaco rispose:”La giustizia è l’utile del più forte”. Socrate, di fronte a questa definizione, è in difficoltà. Uno dei grandi capolavori del sapere occidentale quale è La Repubblica di Platone racconta genialmente l’incapacità di Socrate a dare una risposta all’affermazione di Trasimaco. “La giustizia è l’utile del più forte”, infatti, non vale soltanto per le tirannie e per le oligarchie, vale anche per le democrazie. Una maggioranza può utilizzare la sua forza maggioritaria per fare il suo utile. E’ per questo che esistono le costituzioni. Esse servono, per esempio, a impedire che una maggioranza decida di eliminare una minoranza. A me la definizione di Trasimaco sembra molto attuale. In un sistema democratico dove il consenso si è del tutto distaccato dalla partecipazione, potrebbe sorgere una sorta di tirannia della maggioranza, che a sua volta si allineerebbe sull’Alcibiade di turno, cioè sull’uomo forte, deciso, affascinante, suadente o magari solo simpatico. Sto dicendo che ci stiamo avviando verso una tirannia? Era quello che, nella Grecia antica, temeva Platone, il quale, per questo, avversava la democrazia, capace solo di condannare a morte ingiustamente un grande uomo come il suo maestro Socrate. No, non ci stiamo avviando verso una tirannia in senso classico, stiamo più semplicemente resettando la democrazia con forme finora soltanto laterali di micrototalitarismo. Oggi si voterà sull’Italicum ma, guarda caso, il governo ha finora operato chiedendo la fiducia, seguendo così una linea, già avviata da altri governi, che mette il parlamento nelle condizioni passive di ratificare le decisioni dell’esecutivo. In sostanza l’esecutivo, cioè il governo, non esegue ciò che delibera il parlamento, ma fa deliberate il parlamento su ciò che ha deciso autonomamente di fare. Si dirà: nihil novi sub soli, niente di nuovo sotto il sole. E’ vero. Da un po’ di tempo i governi hanno rovesciato il senso del loro rapporto con il parlamento. Si tratta di un mutamento interno alle dinamiche democratiche o una degenerazione della democrazia? Che ruolo avranno i partiti ? Ci avvieremo verso un grande partito raccoglitore con qualche piccolo partito di opposizione a destra e a sinistra? Una specie di DC senza il PCI alle calcagna? La debolezza delle minoranze in seno al PD, comunque votate alla sconfitta, non è consistita e non consiste tanto nel non sapere incalzare una maggioranza di partito e un governo (piccolo dettaglio ormai del tutto trascurato: segretario del partito e capo del governo sono la stessa persona), quanto nel non aver saputo e non aver voluto porre in modo radicale le domande sull’attuale situazione storica della democrazia e dei rapporti sociali, domande che non sono affatto accademiche, ma oggi immediatamente e drammaticamente politiche.
Nel frattempo l’Istat ci dice che il Jobs Act, che tanto somiglia alla Carta del Lavoro di Bottai, al momento non funziona. La disoccupazione non diminuisce neanche con il fumo negli occhi di possibili assunzioni a brevissimo termine, che farebbero naturalmente statistica. Anche i licenziamenti fanno statistica, aumentando il numero dei disoccupati. Bisogna aspettare fiduciosi i prossimi mesi?