di Sabrina Taddei. / scritto il 16-10-2006
The Constant Gardener non è un film politico, ma si fonda su un tema di grande attualità: le Big Pharma, le grandi case farmaceutiche e la loro politica di vendita e sperimentazione nei confronti dei paesi in via di sviluppo.
Il tenace giardiniere del film è Ralph Fiennes alias Justin Quayle, flemmatico e compito funzionario dell’Alto Commissariato Britannico in Kenya, con l’hobby del giardinaggio. Diligente al limite dell’inettitudine, il suo carattere è bilanciato dalla vitalità della giovane moglie Tessa, attivista dei diritti umani tra i diseredati del paese. Quando Tessa morirà in un misterioso incidente, proprio per aver ficcato il naso nei traffici di una ditta farmaceutica protetta dal governo inglese, Justin dapprima crederà di essere stato vittima di un tradimento, poi scoprirà la fitta trama di corruzione, denaro e morte che la moglie si apprestava a denunciare.
Pur mantenendo tutti i caratteri di un thriller di investigazione il film si eleva di qualche spanna dalla media sui film di genere per almeno un paio di motivi: innanzitutto l’aperta denuncia alle case farmaceutiche, colpevoli di una politica sciagurata di sperimentazione e del rifiuto di abbassare i prezzi di medicine essenziali alla sopravvivenza di masse impressionanti di cittadini del Terzo Mondo. Poi la scelta di girare, oltre che in Inghilterra, in Kenya, con immagini di bidonvilles, ospedali e fiumi umani con grande pertinenza ai fini della narrazione e dell’emozione.
I tratti del contemporaneo homo sapiens che più risaltano nel film, egregiamente rappresentati dagli attori, sono la capacità di negare l’altro con l’indifferenza, una delle malattie del nostro tempo che ci permette di non immergerci fino in fondo in ciò che succede e in ciò che destiniamo all’altro, perché albergarci sarebbe troppo doloroso e faticoso; la fuga dalla responsabilità, quindi l’incapacità di fare ciò che va fatto, da cittadino planetario che richiederebbe la ricerca e l’azione di valori altri, nuovi, obbligandoci ad essere contemporaneamente autori e attori del presente in un costante impegno sociale e relazionale.
(Sabrina Taddei)