di Luca Mori. / scritto il 03-10-2006
Nella nuova edizione, ampliata e aggiornata, dell’utile Enciclopedia del pensiero politico curata da Roberto Esposito e Carlo Galli (Laterza 2005), la definizione del lemma “conflitto” è stata riscritta o, più precisamente, scritta: nella prima edizione infatti, seguendo il rimando, chi avesse cercato “conflitto” avrebbe trovato “guerra”. Il fatto è significativo perché nei dizionari in cui lo spazio dedicato alla definizione è limitato a poche migliaia di battute, il compilatore è tenuto ad esporre con chiarezza le accezioni e le tesi più diffuse e sedimentate nella storia della filosofia, riuscendo raramente a dar conto delle sfumature e delle controversie.
Leggendo la voce “guerra”, tuttavia, troviamo ancora oggi lo stesso incipit dell’edizione precedente, che la distingue dai “più generici” concetti di “violenza” e “conflitto” in quanto scontro «collettivo e politico che coinvolge realtà istituzionali».
Veniamo al lemma “conflitto”. Si rileva inizialmente che il termine è definibile per contrapposizione a ordine, si tratti di un conflitto interno (stasis) o esterno (polemos) alla città: tra i riferimenti, Platone, Aristotele e Hobbes. Ciò che importa, è che subito dopo si evidenzia un’altra corrente del pensiero politico, in cui il conflitto è colto nella sua valenza morfogenetica, costitutiva della relazione e, per così dire, “riordinatrice”: tra i riferimenti, Machiavelli, Spinoza, John S. Mill, Marx ed Hegel.
Un’esitazione significativa che attraversa le opere dei pensatori citati, perché il conflitto è un che di intermedio tra ordine e caos: lì si trovano la complessità e la vita.
Discipline come la psicologia sociale e la sociologia cercano e classificano, per i conflitti, cause “ragionevoli” contestuali: le divergenze circa l’utilizzo di risorse preziose o la distribuzione di risorse percepite come scarse, la frustrazione, la consapevolezza dell’incompatibilità di valori e obiettivi tra individui o gruppi. Si tratta di assunti con una loro valenza euristica e descrittiva. Ma non si dovrebbe perdere di vista l’altra dimensione del conflitto, che ha dato da pensare – lo si coglie spesso tra le righe – ai classici della filosofia politica: nei multiversa simbolici in cui l’umano emerge e che l’uomo fa emergere, il conflitto non verrebbe meno neppure nell’illimitata disponibilità delle risorse.
La paura, il desiderio, la cura di sé, lo stesso egoismo sono passioni ambigue, in quanto generatrici e distruttrici di relazioni. Sono passioni simboliche da conflitto, endogene - come l’esser contra - al contesto della relazione simbolica, prima ancora che questa sia calata in un qualunque contesto spazio-temporale definito.
Riscrivere la voce conflitto dovrebbe permettere di leggere con altri occhi la storia della filosofia politica.
(Luca Mori)