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Microchip sotto la pelle dei dipendenti per controllarli.

di Sabrina Taddei. / scritto il 31-03-2006

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Il Financial Times ha rivelato l’iniziativa della Citywatcher, impresa dell’Ohio - Stati Uniti d’America - nel settore della videosorveglianza, di inserire chip sottopelle ai propri collaboratori per controllarne i movimenti.
La notizia ha creato non poche polemiche in un Paese avvezzo ad essere spiato quotidianamente dalla polizia ai semafori, dai servizi segreti mentre parla al telefono e da agenzie governative quando usa Internet.
Le implicazioni dell’uso di questa tecnologia sono enormi.
Marchiare in modo permanente degli esseri umani solleva importanti interrogativi legati alla privacy e ai diritti civili, ma la società si giustifica adducendo un uso limitato ai dipendenti delle agenzie governative e della polizia, nel momento in cui devono accedere ad uffici in cui vengono contenute le banche dati dei video relativi alla sorveglianza.
A legittimarne l’uso il fatto che l’azienda produttrice è l’unica ad aver ricevuto l’autorizzazione della Food and Drug Administration, la più vecchia agenzia che protegge i consumatori della Nazione , giunta al centenario dalla fondazione.
La domanda di sicurezza e di controllo contenute in questo agire sono limiti insormontabili per la costruzione di una nuova socialità, orientata alla gestione evolutiva dei conflitti e non alla loro distruzione.
Naturalizzare l’aggressività umana istituendo un codice di potere e di esclusione annulla l’opportunità contenuta nel riconoscere l’alterità come possibilità di non essere negati e di comprendere che l’incertezza e la complessità della relazione umana sono il terreno fertile dell’emancipazione dell’uomo.

(Sabrina Taddei)