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Il potere politico e la potenza di un codice femminile.

di Carla Weber / scritto il 09-01-2006

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Una donna di sessant’anni, Janet Hanna Mikhael Khouri è stata eletta sindaco di Ramallah. Sorprende non solo perché è donna, ma anche perché di religione cristiana ed eletta con il sostegno dei tre consiglieri di Hamas. Un evento che fa pensare per la complessità dei fattori critici in gioco, che non si può interpretare in modo univoco, sicuramente esito fragile di una negoziazione di posizioni diverse e aperto a sviluppi non predefinibili. I commenti che si ascoltano attraverso i media, indicano questa elezione come un fatto nuovo, di apertura e di movimento insieme, per una situazione terribilmente e drammaticamente fissa in questa città della Palestina. Le aspettative sono altissime e riguardano quello che ha promesso: concretezza amministrativa e sviluppo di un tessuto civile capace di costruire un rapporto più diretto tra potere politico e popolazione. Sarà così? Riuscirà questa donna a coinvolgere le forze e le risorse necessarie per portare avanti il programma che ha dichiarato? Lo valuteranno a posteriori i suoi elettori; oggi si interpretano segni e si condividono speranze.
Il dato incontestabile per ora è che la popolazione palestinese di Ramallah ha votato una donna, professoressa di scienze al Liceo, e la sua proposta di amministrare una città così martoriata. E questo è avvenuto in una società patriarcale del medioriente mettendo a soqquadro qualche stereotipo europeo riguardo ai rapporti tra donne, politica, cultura.
Dall’intervista a Janet Khouri, comparsa su La Repubblica del 31 dicembre 2005, colgo elementi rilevanti per una riflessione.
La crisi della politica apre alla concretezza del codice femminile, se in quella cultura è presente. “Sono una donna e quando una donna decide di fare qualcosa ci riesce sempre” è un’affermazione di chi è esclusa per genere dalla politica degli uomini, ma che conserva socialmente una potenza generante riconosciuta, e come tale anche oggetto di dominio e restrizione espressiva.
“Amministrare è gestire una città e i suoi problemi concreti” dice, e individua in “ascolto e decisione” le vie per muoversi nella complessità del presente. “Il negoziato fa parte della politica” sostiene a fronte della presenza delle diverse religioni e degli orientamenti politici, che però condividono il comune sentimento di appartenenza all’identità palestinese. È una politica del conflitto ad essere dichiarata come pratica della convivenza civile.
Il progetto per il cambiamento fonda la propria forza sul dolore, la tristezza, l’amore per il destino comune. “Amo la mia terra e la mia città. Le vedevo dissolversi, chiudersi, morire lentamente. Come tutti avevo il cuore che grondava di tristezza. Dovevo fare qualcosa, non potevo assistere a questa distruzione”.

(Carla Weber)