di Stefano Pollini / scritto il 10-10-2007
Lo scorso 3 ottobre su “La Repubblica”, Michele Serra ha riportato in modo ironico e spiazzante la propria opinione su un conflitto tra il comune di Bologna - che ha deciso di ripulire i muri di via Zamboni (zona universitaria) - e i graffittari che hanno già annunciato che la ridipingeranno come pare loro.
“Il municipio – scrive Serra – rappresenta la città. I graffittari rappresentano se stessi. Ovvio che negli ultimi 20 anni i graffittari abbiano stravinto: gli interessi privati e le pulsioni individuali hanno travolto gli interessi pubblici a ogni livello”. “Per colmo della confusione – continua Serra – un gesto di destra come l’appropriazione di ciò che è di tutti, passa per libertario, mentre la morte del concetto di collettività fa sì che molti dei gesti compiuti in nome di evidenti interessi pubblici (per esempio pulire i muri di una via) passano per un mostruoso arbitrio del Potere. Forse l’unica scappatoia che resta, per uno come me, è scrivere sui muri: I writers sono di destra”.
Quanto riportato da Serra è uno spunto che permette di riflettere su alcune questioni rilevanti per chi si occupa di conflitti.
In primo luogo, evidenzia riportando un esempio di cronaca, ciò che Carla Weber chiama “la crisi della pensabilità della polis” (vedi paper scaricabile su questo sito). Il fatto cioè che in una società che esaspera il ruolo dell’individuo e della soggettività, ognuno può contare solo su se stesso fino a trascurare e negare che la soggettività si costruisca nella collettività.
“Il conflitto e la resistenza rispetto ad ogni definizione esterna della propria individualità, accanto all’attesa di essere riconosciuti, caratterizza l’esperienza dell’ambiguità relazionale con l’altro. È la paura del ‘socialismo’, dell’adattarsi al senso comune del gruppo, alla condizione mentale del gruppo e al rischio della propria individuazione… 'Puer' e 'polis' entrano in contraddizione mentre l’uno è luogo di esistenza e sviluppo dell’altro".
"Diviene sempre più necessario – continua Carla Weber – sostare e darsi un tempo di riflessione per comprendere il livello di implicazione e coinvolgimento di ognuno in relazione agli altri".
Questa ultima riflessione di Carla Weber ci introduce ad un secondo aspetto che sembra caratterizzare molti conflitti che faticano ad evolvere e diventare generativi: la tendenza a mettere tutto sullo stesso piano, a non dare valore, a non differenziare; e quindi di conseguenza la necessità di un tempo di riflessione per comprendere, distinguere, dare significato a ciò che ci accade. E’ come se, venendo al caso particolare, scrivere sui muri, esprimere la propria individualità, appropriarsi di ciò che è pubblico, difendere la libertà, essere creativi, rompere le regole, dipingere o imbrattare fossero tutti sinonimi. La retorica del “ognuno ha un proprio punto di vista”, “la verità assoluta non esiste” rischia di trascinarci in una melassa relativista in cui ogni azione o pensiero ha lo stesso valore. In una realtà così fluida diventa quasi impossibile creare attrito, quindi anche confliggere, incontrarsi, creare qualcosa di nuovo. L’indifferenziato è un tappo che non permettere di accedere e di far evolvere il conflitto in atto.
Il terzo punto di riflessione riguarda il tema del metodo, ossia la via per gestire e far evolvere il conflitto. Marianella Sclavi nel suo ultimo libro “Costruire la pace” sottolinea come il primo passo per non andare verso lo scontro ed evitare la degenerazione del conflitto in guerra, sia quello di non considerare il conflitto come un gioco a somma zero, in cui uno vince e l’altro perde. La domanda che suscita l’articolo di Serra è perciò: come è stato gestito questo caso? Come un gioco “io vinco e tu perdi” o come “se non vinciamo entrambi non vince nessuno”? Come si sono sentite le due parti in causa? La polis viene finalmente riconosciuta come luogo di esistenza e sviluppo del singolo? Se una delle due parti si sente sconfitta e già prepara una rivincita, allora il conflitto è bloccato in una posizione “noi contro loro” e non evolve verso qualcosa di generativo, ma solo distruttivo.
(Stefaano Pollini)