La Turchia e il genocidio armeno. Oggi il giorno della memoria per le persecuzioni del 1915 - Alberto Negri, Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2005 / scritto il 24-04-2005
Ogni guerra è desolazione e quella che l'Impero ottomano affrontò nel 1914 non venne meno questa regola. Intrisa di sofferenze, devastazioni e atrocità, la prima guerra mondiale che segnò la fine dell'età degli Imperi fu combattutta sul fronte orientale con stragi e massacri che dalle trincee si estesero alle popolazioni civili. Di tutte le tragedie del conflitto quella che ha suscitato più emozione è stato l'annientamento della comunità armena dell'Anatolia. A 90 anni dai massacri degli armeni, che oggi celebrano il loro giorno della memoria, due tesi continuano a contrapporsi con veemenza mentre la Turchia, in un rigurgito di nazionalismo, respinge non solo gli attacchi sulla questione armena ma anche le pressioni di quell'Europa con cui dovrebbe iniziare a ottobre i negoziati di adesione.
Quali sono, in sintesi i fatti? Nella primavera del 1915 l'Impero ottomano, schierato con la Germania contro le potenze dell'Intesa (Francia e Gran Bretagna), è sotto attacco. Gli armeni sono stritolati tra l'esercito turco e l'armata russa: il Governo dei Giovani Turchi li spinge all'insurrezione contro la Russia ma ottiene la reazione opposta e 8mila armeni si uniscono alle truppe zariste. Il 7 aprile 1915 la città di Van insorge e proclama un governo provvisorio armeno. Gli ottomani decidono di deportare gli armeni, ritenuti una quinta colonna del nemico, in Siria e Mesopotamia.
La strage comincia il 24 aprile con l'eccidio a Istanbul di 600 notabili armeni. La deportazione si svolge in condizioni terrificanti.
Sotto i colpi dell'Organizzazione speciale e dei franchi tiratori, vengono uccisi migliaia di deportati. Impossibile valutare con esattezza il numero delle vittime: oltre un milione secondo gli armeni, tra 300 e 500 mila secondo le fonti turche. In ogni caso si tratta di un massacro tale da spingere l'ambasciatore americano a Istanbul, Henri Morghentau, a considerare questi eventi come "l'assassinio di una nazione". Quali sono le tesi contrapposte? La posizione armena fondata su una massa impressionante di studi e testimonianze non ammette compromessi: c'è stata da parte del regime di Istanbul la chiara volontà di sterminare tutto un popolo in modo pianificato e sistematico. Si tratta secondo gli armeni di un genocidio per eliminare un elemento etnico che ostacolava l'unificazione di tutti i turchi in un unico grande stato turanico.
La tesi turca, negazionista, non è moderata. Sorretta anche questa da una mole di documentazione, sostiene che l'Impero non cercò di annientare gli armeni ma che la deportazione fu "una necessaria decisione di guerra" perchè gli armeni avevano costituito milizie alleate con il nemico: recentemente hanno prodotto dei documenti secondo i quali tra il 1910 e il 1922 500mila turchi furono uccisi dalle bande armene. Qual'è la dolorosa verità? Non può sfuggire una semplice e cruda constatazione: alla vigilia della guerra c'erano 1,5 milioni di armeni in Turchia, all'inizio degli anni Venti ne erano rimasti 60-70 mila. Il genocidio armeno è stato riconosciuto nell'85 dalla sottocommissione dei diritti umani dell'Onu, poi, nell'87 dal Parlamento Europeo. Lo stesso passo è stato fatto nel 2001 dalla Francia, dove vive la comunità armena più numerosa, e da un'altra dozzina di governi e parlamenti tra i quali la Duma russa. L'Europa ha invitato Turchia e Armenia ad avviare la riconciliazione e nei giorni scorsi Ankara ha suggerito di istituire una commissione congiunta per far luce sulla vicenda ma Erevan, appoggiata dalla Russia, sua storica protettrice, ha respinto in modo categorico la proposta.
Ankara è preoccupata: pur essendo escluso un legame tra la questione armena e il negoziato per l'Unione, nel corso della trattativa, su spinta della Francia, potrebbe essere avanzata la richiesta di una necessaria normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia. Non è certo casuale il fresco pronunciamento del capo di stato maggiore turco, il generale Hilmi Ozkok, secondo il quale i militari potrebbero ritirare l'appoggio alla trattativa se continuassero le pressioni europee sulla questione armena, Cipro e i curdi del Pkk di Ocalan.
Ma c'è dell'altro. In questo momento in Turchia si assiste a un ritorno al nazionalismo. Anche lo scrittore Orhan Pamuk è stato vittima di questo clima e ha preferito allontanarsi da Istanbul dopo un'intervista a un giornale svizzero in cui aveva ricordato "il milione di morti armeni nel 1915 e i 30 mila curdi uccisi negli anni Ottanta". I mass media sottolineano alcuni episodi anti-turchi e ricorrono alla teoria del complotto esterno contro gli interessi nazionali per giustificare le difficoltà a discutere apertamente della storia del Paese. In realtà il nazionalismo, blandito e promosso in molte circostanze da tutte le forze politiche, appare in contraddizione con gli obiettivi europei e internazionali di Ankara. Insistere su certe posizioni e sul negazionismo di Stato favorisce gli argomenti di coloro che non vogliono riconoscere i progressi della Turchia e la sua legittimità ad aspirare a un destino diverso.
(Sabrina Taddei)