Ugo Morelli, Il Corriere del Trentino, 26 aprile 2005 / scritto il 26-04-2005
Ugo Morelli, Il Corriere del Trentino, 26 aprile 2005.
Che cosa manca a sistemi locali come il nostro che godono di una posizione fortunata sul piano economico e di una peculiare e vantaggiosa situazione amministrativa dovuta a fattori storici e in particolare all’autonomia? Che manchi qualcosa e forse anche più di qualcosa pare evidente, sia nelle grandi questioni e nei modi di affrontarle, sia nei disagi a livello individuale, ma soprattutto per quello strano senso di silenzio e difficoltà quando si volge lo sguardo al futuro. Scorrono davanti agli occhi e nelle parole o auspici e grandi disegni, soprattutto in forma auspicabile, o un profondo senso di incertezza. Quel certo non so che serpeggia e viene rimosso più perché è insopportabile che individuando vie d’uscita attendibili. L’epoca contemporanea non è rosea, su molti fronti, per nessuno, ma a livello locale si vive come se qualcosa si fosse rotto. Lo si vede anche nella volgarità degli stili con cui ci si esprime spesso sui problemi, nell’aggressività delle posizioni che se sono gridate sembrano più attendibili, nella perseveranza a difendere interessi particolari, anche se sono evidentemente parziali o addirittura illegittimi. I privilegi tendono così a divenire scontati e a generare sempre nuove aspettative, a fronte di scarsi o nulli investimenti in responsabilità individuali. Cosa è accaduto? E cosa manca?. Non è facile rispondere ma un principio sembra proprio in discussione ed è quello di reciprocità. Si tratta di quel fondamento delle relazioni sociali, frutto di processi storici e educativi di lunga durata, che può consentire di non ridurre tutto allo scambio basato sul prezzo da un lato, e alla richiesta di privilegi e vantaggi gratuiti e garantiti, dall’altro. Stiamo parlando di quel mondo intermedio del sociale che può andare in una direzione o in un’altra e far uscire da ognuno di noi il meglio o il peggio. Non siamo delle bandiere al vento e abbiamo un’identità e una storia, ma siamo influenzabili dal clima sociale e dalle tendenze prevalenti della società e dei gruppi in cui viviamo. Questo fa quel clima sociale che caratterizza la vita di ognuno e di tutti. E’ evidente ad esempio che ciò che è pubblico, in una certa realtà è tutelato e rispettato perché è di tutti e in un’altra non è di nessuno e ne approfitta il primo che capita o il più furbo. Esiste un modo di vivere e gestire quello spazio intermedio tra le persone, che tra l’altro ha distinto storicamente i sistemi locali in cui viviamo. Mentre tu impegni la tua responsabilità, il tuo progetto e le tue risorse, un altro, degli altri, o un’istituzione te lo riconoscono e ci mettono del proprio per arrivare ad un risultato. Ciò non solo porta ad un aumento delle possibilità di ognuno ma crea un clima positivo in cui si alimenta la fiducia e si controllano gli opportunismi. A prevalere non è la logica della richiesta o quella della concessione e della distribuzione, ma il rapporto tra capacità e opportunità, giocato in reciprocità. Il risultato è l’emancipazione soggettiva e collettiva, perché ognuno può contare sugli altri e sulle istituzioni a patto che investa se stesso o qualcosa di se stesso. Tutto questo non vale solo per i singoli ma anche e soprattutto per le categorie sociali, per gli interessi organizzati e per le istituzioni. Ristabilire reciprocità vuol dire orientarsi ad uscire dall’assistenzialismo distributivo che alimenta la passività. Vuol dire attualizzare la storia e rifare un patto in cui il consenso non sia il primo e a volte esclusivo interesse di chi governa i diversi tipi di istituzioni, ma sia un effetto di azioni efficaci. Che per essere efficaci devono essere impegnative e vantaggiose allo stesso tempo per ognuno di coloro che interagiscono, individui o categorie. Riattivare reciprocità può concorrere a trasformare la passività in passione individuale e civile.
(Sabrina Taddei)