di Antonio Castagna / scritto il 09-01-2008
Su internazionale del 23 novembre 2007, alle pagine 54 e 55, sono a confronto due articoli, uno di Ricardo Hausmann, del “Financial Times”, Andare oltre il petrolio, l’altro di George Monbiot, di “The Guardian”, Più vittime dell’Iraq. Il tema è lo stesso, e anche l’intenzione, promuovere politiche che riducano l’emissione di ossido di carbonio. Anche l’oggetto è lo stesso, i biocarburanti. La posizione dei due però differisce radicalmente, e in parte anche i dati che portano a sostegno, il che dimostra il fatto che non bastano i dati a dirci che succede, ma che abbiamo bisogno di una buona teoria per riconoscere i dati significativi.
Hausmann ha una teoria molto forte, anche se nell’articolo non la dichiara esplicitamente. La sua teoria è che è necessario alimentare la crescita, lui la chiama, come molti, “sviluppo sostenibile”. Lo si vede, ad esempio, dalle considerazioni a proposito della tecnologia che prima o poi produrrà il carburante competitivo con i carburanti di origine fossile; dice anche che il mondo è pieno di terreni “sottoutilizzati”, il che potrebbe voler dire che sono terreni non coltivati in maniera intensiva industriale, o anche che sono lasciati allo stato selvaggio, ma questo l’autore non lo dice, perché evidentemente tutto ciò che non contribuisce alla crescita non ha motivo di esistere. Nell’esplicitare poi quali sarebbero i vantaggi dei biocarburanti cita pure, che i prezzi alti dei prodotti agricoli favoriranno i contadini (e i cittadini poveri?) e che rendere produttive vaste aree di Africa e America latina attirerà altre forme di investimento, “abbassando il costo dei trasporti in vaste regioni del paese e favorendo così lo sviluppo economico”. In quest’ultimo passaggio che sta parlando di crescita si vede molto bene.
Monbiot sembra avere una teoria molto debole, del tipo va bene crescita, ma stiamo attenti al contesto. L’autore infatti è preoccupato dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari (cita l’inviato speciale dell’Onu, Jean Ziegler che ha definito la produzione di biocarburanti con mais e altre piante da alimentazione un crimine contro l’umanità). Ma dice anche che la riduzione dell’effetto serra grazie ai biocarburanti è solo illusoria. Certo, se si calcola la trasformazione e l’uso delle piante come biocarburanti le emissioni si riducono. Ma se si calcola anche l’effetto dei fertilizzanti usati per coltivarli allora l’impatto sul riscaldamento globale è ancora peggiore di quello dei derivati del petrolio. A questo punto Monbiot prova a rinforzare la sua teoria, quando scrive: “I biocarburanti sono un modo per evitare scelte politiche difficili. Creano l’impressione che si possano ridurre le emissioni di carbonio continuando a espandere le reti di trasporti: basta cambiare carburante”. Se ne deduce che le reti dei trasporti non vanno aumentate. Monbiot aggiunge anche un dato che trae da una ricerca pubblicata su “Science” da cui si vede che “proteggere le terre non coltivate invece di usarle per produrre dei biocarburanti permetterebbe di ottenere, nell’arco di trent’anni, una riduzione delle emissioni di carbonio da due a nove volte superiore”. Lo stesso dato, le terre non coltivate, nel primo caso sono un accidente da eliminare perché improduttive, in questo secondo caso servono a garantire l’assorbimento di co2.
Succede semplicemente che chi vede il mondo avendo in mente che la crescita è una buona cosa addirittura necessaria, vede le terre incolte come un disvalore. Chi osserva il mondo avendo in mente che il problema è la crescita, vede le terre incolte come un valore. Il punto debole del secondo punto di vista è che mentre è chiaro cosa implica la crescita in termini di speranza, di possibilità di soddisfazione per gli individui, non è altrettanto chiaro cosa implica l’opposizione a questa, se non una serie di caveat, di timori, catastrofismi e talvolta, deboli indicazioni su modelli di vita alternativi poco praticabili. Rispetto a questi atteggiamenti ha buon gioco chi confida nelle tecnologie per trovare azioni risolutive. Forse, se cominciassimo a pensare a forme di benessere facilmente identificabili, oggettivabili e desiderabili, il conflitto tra le due teorie, cornici di riferimento, campi di forze, potrebbe riequilibrarsi. Il biocarburante è visibile, esiste, e mi permette di continuare ad andare in giro in auto. Il crimine (contro l’umanità) mi fa schifo e preferisco non pensarci. Ho già tante cose da pensare, il lavoro, il mutuo della casa, le rate dell’auto, ecologica però.
Un esempio: recentemente mi è capitato di partecipare, insieme ad altri, a una ricerca sui rifiuti. L’obiettivo era capire come gli albergatori si erano organizzati e come percepivano la raccolta differenziata. Abbiamo scoperto che il problema sorge quando si pensa al rifiuto, che è un problema, un peso, un costo. Se lo stesso oggetto viene considerato dentro un processo che va dalla produzione alla distribuzione allo smaltimento, allora gli albergatori si ritrovano più facilmente nel loro ruolo gestionale, nel quale costi e dimensioni delle merci costituiscono un loro specifico interesse. Cessando di essere un peso il trattamento dei rifiuti diventa parte integrante del loro lavoro e il corretto trattamento dei prodotti diventa occasione anche per risparmiare tempo e costi.
(Antonio Castagna)