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Memoria e conflitto

di Ugo Morelli / scritto il 28-01-2008

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La giornata della memoria è una scelta storica con una rete di manifestazioni che anche a livello locale vanno dalla scuola alle istituzioni, ai teatri, e agli incontri a diverso livello. Un modo per confrontarsi con una ferita tra le più profonde e dolorose che la storia ci consegni. Ma un certo disagio si fa strada e conviene esprimerlo. Quel disagio ha a che fare con il rapporto tra il rumore delle parole e la forza del silenzio. Parlare di un fenomeno o di un problema è uno dei modi più importanti per capire e fare i conti con la realtà, da parte di noi esseri umani. Parlare esige misura, però, e attenzione al rapporto tra dicibile e indicibile. Primo Levi ha scritto ne “I sommersi e i salvati”, che “più si allontanano gli eventi, più si accresce e si perfeziona la verità di comodo”. Ha poi aggiunto che non si dovrebbe mai dimenticare che gli unici autorizzati a parlare di quanto è accaduto dovrebbero essere i morti. Ora Levi era troppo fine per non sapere che i morti non parlano. Dobbiamo ricavarne un monito che è quello della intraducibilità e della indicibilità della tragedia umana dello sterminio. Ma anche della sua appartenenza all’esperienza umana, perché uomini sono quelli che l’hanno organizzato e realizzato. Accettare che possiamo diventare ciò che in quella circostanza storica gli uomini diventarono è doloroso di un dolore che forse solo il rispettoso silenzio può dire. Questo vuol dire che allora non si deve parlare? No. Parlare è decisivo e parlarsi è costruire comprensione e consapevolezza, è confrontarsi ed emanciparsi vicendevolmente. Parlare però può voler dire tante cose. Può voler dire elaborare; può voler dire confrontarsi; può voler dire anche rimuovere quello che troviamo insopportabile e che una volta detto ci assolve e pone al sicuro, facendoci tornare nel nostro tepore e nella nostra consuetudine. Di fronte al negazionismo e al silenzio interessato, la parola può essere necessaria ma è importante prestare attenzione alla ritualizzazione: creare la giornata della memoria e celebrarla è dedicare un giorno all’anno della nostra vita a una delle terribili esperienze di cui noi esseri umani siamo stati e siamo capaci. È decisivo però misurare le parole e non dimenticare la generatività del silenzio, per evitare che un giorno ci assolva, che il nostro dovere e la nostra responsabilità di cercare di essere e divenire umani sia relegata ad un giorno della nostra vita, anziché essere un compito di ogni giorno e di ogni ora.
Ci sono molti modi di trattare l’incontenibile, di affrontare quello che appare inspiegabile alla ragione. Uno di questi ad esempio è trattarlo come “disumano”. Di Hitler spesso si sente dire che era una “non-persona”. Era, invece, evidentemente una persona e ci mostra cosa possiamo divenire come persone. È negando che portiamo fuori di noi quello che riteniamo e sentiamo inaccettabile. Se scambiare i sentimenti e le esperienze con le ricorrenze e le parole è importante, altrettanto lo è contenere col silenzio la responsabilità di tutto quello che siamo.

(Ugo Morelli)