di Ugo Morelli* / scritto il 30-10-2008
“Stamattina sono salita sull’autobus per andare a scuola. Avevo tanta paura, come ogni mattina. Sono una bambina indiana e abito a Gardolo. I miei genitori lavorano, il mio papà in una fabbrica e la mia mamma in un’impresa di pulizie. Ho un fratellino più piccolo che va alla scuola materna. Questa è la mia città, il luogo dove sono cresciuta e dove vorrei vivere senza avere paura. Invece la paura comincia appena esco di casa e salgo sull’autobus. Gli autisti sono bravi e a volte fermano l’autobus per proteggermi, ma alcuni bambini e bambine mi spintonano appena salgo e non mi fanno sedere. La maggior parte degli altri bambini sta zitta e ha paura. Una paura diversa dalla mia e da quella di altri bambini che non sono figli di italiani, perché a loro non li ingiuriano e non li spintonano; però stanno zitti e non dicono niente. Mentre mi spintonano e non mi fanno sedere, mi dicono che sono sporca e che devo tornare a casa. Se dico che la mia casa è qui mi dicono che non è vero e mi vogliono mandare in un posto lontano che io non ho mai visto. Ne sento parlare dai miei genitori che piangono quando ne parlano. Quando arrivo a scuola le cose non vanno meglio e devo stare attenta a rimanere negli spazi dove ci sono gli insegnanti, che sono buoni e mi proteggono. Devo cercare di non rimanere mai sola con i miei compagni di classe, perché mi ingiuriano e spintonano. Negli ultimi giorni ho sentito i miei genitori dire che forse a noi bambini che non siamo figli di italiani ci metteranno in classi separate. Ci sarà cioè una classe solo per noi che siamo figli di persone nate in altri paesi. Ho sentito dire che forse si farà così perché non sappiamo parlare bene l’italiano. Ho pensato che se fanno così però non potremo più imparare la geografia facendo esercizi in cui ognuno fa la parte di un paese diverso e tutti impariamo tante cose nuove. Ho pensato che non potrò più aiutare i miei compagni italiani a parlare inglese mentre loro mi aiutano a parlare italiano. Ho pensato che non potrò raccontare loro le storie dei miei nonni che ascolto dai miei genitori, mentre loro mi raccontano le loro storie. Mi è venuta in mente la festa che abbiamo fatto ogni anno mangiando le cose preparate dalle nostre mamme, e ogni bambino ha potuto scoprire sapori diversi. In quei momenti mi sembravano tutti felici, ma poi si tornava alle spinte e alle ingiurie. Sono pochi quelli che non ci vogliono e ci fanno del male, ma di loro hanno tutti paura. Se tutti quelli che sono gentili e buoni con me e con gli altri bambini che non sono figli di italiani si mettono d’accordo, io penso che non le faranno le classi separate. Lo penso perché quelli gentili e buoni sono tanti: i nostri insegnanti, la maggior parte dei bambini, le persone dove lavorano la mia mamma e il mio papà, un signore anziano assistito dalla nostra vicina di casa, una rumena che è la mamma dei miei amici di gioco, l’autista dell’autobus che mi vuole bene e lo so che mi difende”.
* (Pubblicato sul "Corriere del Trentino" domenica 26 ottobre 2008)